L'ATO, l'Australian Taxation Office, sta indagando su circa 6.000 richieste di JobKeeper avanzate da datori di lavoro all'indomani dello scoppio della crisi.
Da quanto emerso, infatti, tra i destinatari di alcuni sussidi economici messi a disposizione dal governo federale australiano per andare incontro a chi ha perso il lavoro a causa della crisi ci sarebbero persone che risultano in carcere, residenti all'estero o - in qualche caso - persino defunte.
Allo scoppio della pandemia, il governo federale ha stanziato oltre 130 miliardi di dollari per il programma che prevede versamenti ai datori di lavoro fino a 1.500 dollari ogni due settimane per i dipendenti a tempo pieno, part-time o occasionali (i casual) che lavorano per quell'azienda da oltre un anno.
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Un aiuto economico per 6 milioni di australiani
Per avere diritto a questi fondi pubblici, un'azienda doveva dimostrare di aver perso il 30% del fatturato dopo il primo marzo 2020. Le imprese erano quindi obbligate per legge a inoltrare 10 mesi al proprio personale, al posto dei soliti salari.
Delle 8.000 imprese che si sono registrate, oltre la metà sono in NSW e Victoria. E il programma, retrodatato al primo marzo 2020, in 10 mesi ha aiutato 6 milioni di australiani.
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"Una vicenda umiliante"
La prassi prevedeva che i titolari di aziende e di attività economiche in crisi compilassero le liste con i nomi dei dipendenti e sottoponessero all'ATO la richiesta dei fondi destinati alle persone assistite dal JobKeeper.
Per ora l'indagine riguarda 5.974 casi sospetti.
Il Ministro del Tesoro Josh Frydenberg ha affermato che l'ATO riuscirà a fare piena luce sulla vicenda mentre il Ministro ombra, Jim Chalmers, ha definito umiliante questa situazione.
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