"Ho studiato, contribuisco alla società e faccio un lavoro che è considerato essenziale ma non mi sento mai abbastanza per essere considerata parte di questa società".
Sono le parole di Valentina Caputo, un'italiana che lavora come educatrice per l’infanzia e ‘educational leader’ in un asilo a Melbourne.
Lì segue i figli del personale sanitario del vicino ospedale e degli istituti di ricerca che in questo momento sono in prima linea nella lotta al COVID-19.
“Molti ricercatori che al momento stanno studiando il vaccino per il COVID-19 ci affidano i loro figli, non solo chi lavora in ospedale. Io e i colleghi del centro dove lavoro siamo sempre stati molto fieri di poter dare un piccolo contributo a modo nostro”.Ma la situazione di Valentina, come quella di molti altri lavoratori del settore, è drasticamente cambiata nelle ultime settimane.
Valentina Caputo in classe Source: Courtesy of Valentina Caputo
Il governo federale, che in Australia contribuisce all'assistenza per l'infanzia, aveva annunciato ad aprile un pacchetto a sostegno del settore chiamato ‘childcare relief package’, che prevedeva un sostegno economico ai centri della prima infanzia e ai loro dipendenti tramite Jobkeeper.
Ma a luglio le misure sono state riviste, come Kate Noble - Education Policy fellow al della Victoria University - ha spiegato a SBS Italian: “Dopo un breve periodo di interventi del governo federale in cui l'assistenza all'infanzia era gratuita per i genitori, siamo tornati al precedente sistema che prevede un sistema proporzionale di tasse in parte versate dal governo federale e in parte dalle famiglie”.
Inoltre è stato revocato il sussidio legato al programma Jobkeeper per gli operatori del settore.
Alle decisioni di Canberra, ha fatto seguito l'annuncio del governo statale del Victoria che, a partire dal 6 agosto, ha reso possibile frequentare i childcare di Melbourne solo ai figli dei lavoratori essenziali che non possono lavorare da remoto (“permitted workers”).
La conseguenza di questi annunci è stato il calo considerevole della frequenza dei bambini nei centri della capitale del Victoria.
Un dato che Valentina ha constatato immediatamente: “La nostra struttura ha 80 - 85 bambini al giorno in tempi normali, ma venerdì [7 agosto 2020] erano solo 10 i bambini presenti, perché molti genitori non erano riusciti a farsi fare il permesso, immagino nel frattempo i numeri siano diventati un po’ più alti”.
Prima i colleghi avevano accesso al Jobkeeper, ma adesso questa possibilità non c’è più: il nostro ruolo è stato tirato via da Jobkeeper, e questo come settore ci fa davvero arrabbiare, siamo delusi dal governo
Il calo dei bambini ha significato per molti dipendenti una riduzione sostanziale delle ore di lavoro, quando avevano appena perso l'accesso ai sussidi: “Prima i colleghi avevano accesso al Jobkeeper, ma adesso questa possibilità non c’è più: il nostro ruolo è stato tirato via da Jobkeeper, e questo come settore ci fa davvero arrabbiare, siamo delusi dal governo”.
“Ho ricevuto un partial stand down, quindi le mie ore sono state ridotte, prima lavoravo tre giorni ora ne lavorerò due”, ha proseguito Valentina.
“In più essendo temporanea non posso accedere a nessun tipo di contributo del governo: ero anche in maternità quando in Australia è arrivato il coronavirus, ma non avevo sussidi nemmeno per quello. Allora, come temporanei, sia io che mio marito abbiamo potuto accedere ad una parte dei fondi di superannuation che ci hanno fatto sopravvivere per 4 mesi”.
Con il secondo lockdown la situazione per Valentina è diventata insostenibile, non solo a livello economico: “Non solo il fatto di non avere Job Keeper e come temporanea di non averlo mai avuto, in più a livello emotivo il fatto di non poterci definire insegnanti nonostante abbiamo una laurea di 4 anni è pesante".
"C’è sempre questa differenza tra la scuola elementare, dove le operatrici sono consederate insegnanti, e noi che veniamo trattati come baby sitter”.
Valentina ha frequentato un Bachelor of Early Childhood Teaching, un percorso di studi di quattro anni costato oltre 60 mila dollari, mentre la giovane famiglia era impigliata in un dedalo di visti temporanei.
Il ‘graduate visa’ di Valentina scadrà ad aprile 2021: “Ci siamo fatti mille domande, se questa fosse la società di cui volevamo far parte dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto. Paghiamo le tasse come i cittadini o permanenti ma non abbiamo niente in cambio, né Medicare né Childcare Benefit...".
"Sono stata arrabbiata per molto tempo soprattutto col governo perché non mi sono sentita mai abbastanza: ho studiato, contribuisco alla società e faccio un lavoro che apparentemente è considerato essenziale ma non mi sento mai abbastanza per essere considerata parte di questa società”.
La frustrazione di Valentina è giunta al capolinea: dopo sette anni di speranze e sacrifici tra poco lascerà l’Australia con suo marito, la figlia Deva, che ha 9 anni, e Anima, nata in Australia quasi cinque mesi fa.
La storia di Valentina non rappresenta un caso isolato tra gli immigrati temporanei in Australia durante la pandemia. Oltre due milioni di stranieri su visti temporanei non hanno avuto accesso ad alcuna forma di sussidio economico.
Sono stata arrabbiata per molto tempo soprattutto col governo perché non mi sono sentita mai abbastanza
Secondo Siobhán Hannan, che lavora nel settore dell’educazione all’infanzia da oltre 20 anni, a questa situazione, nel caso di Valentina si aggiunge anche un problema strutturale: “Secondo me non è giusto che queste lavoratrici non prendano i soldi che in altri settori possono prendere".
"Jobkeeper, anche quando c’era, non era sufficiente perché molte delle persone che lavorano nel settore non hanno la residenza in Australia oppure non hanno lavori stabili, ma almeno garantiva una base [...] Ora che i fondi sono dati ai centri, gli operatori non sono costretti a dare i soldi ai lavoratori o a dare ore di lavoro, per cui se non ci sono bambini li mandano a casa. Queste lavoratrici sono invisibili alla società".
Come ha confermato la professoressa Noble, il problema della precarietà e dei salari bassi è endemico nel settore, e la pandemia ha fatto emergere in superficie l’estensione del problema.
"Il Covid-19 ha davvero esposto problemi molto seri che esistevano già: gli educatori della prima infanzia non sono ben pagati, ci sono alti livelli di impiego occasionale quindi uno scarso livello di sicurezza del lavoro”, spiega Noble, una situazione molto diversa da quella di chi insegna nelle scuole.
Per gli educatori dell’infanzia, all’incertezza delle condizioni di lavoro si è aggiunto anche il timore per la propria salute, data l’impossibilità di mantenere le misure di protezione dal coronavirus al lavoro.La dottoressa Nadia Warner lavora come Senior Scientist per il Victorian Infectious Diseases Reference Laboratories del , il principale laboratorio nel Paese che sta lavorando sul coronavirus.
La dottoressa Nadia Warner e sua figlia mentre cuciono le mascherine per i maestri Source: Courtesy of Nadia Warner
I ricercatori dell’istituto stanno studiando il virus, testando medicinali e lavorano senza sosta per la ricerca di un vaccino che possa sconfiggere il COVID-19.
La figlia della ricercatrice frequenta il centro dove lavora Valentina: “Sono un genitore single e non ho famiglia a Melbourne, quindi questa è la mia unica opzione per poter continuare a lavorare. Gli operatori sono persone uniche nel fare il loro lavoro. Noi come personale sanitario sappiamo bene come proteggerci dal virus; per loro è diverso, deve far paura essere così esposti e non è facile avere comunque un approccio positivo al lavoro per i bambini".
Quando la dottoressa Warner ha scoperto che Valentina e le sue colleghe non avevano a disposizione alcuno strumento di protezione personale, ha cucito per tutti una mascherina in segno di riconoscimento del loro lavoro, della loro passione e del loro coraggio.
SBS Italian ha chiesto un commento al dicastero federale dell'educazione sul caso di Valantina e un portavoce del ministro Dan Tehan ha sottolineato lo sforzo nell'aumentare al 30% il supporto ai centri per la prima infanzia a Melbourne durante il lockdown ma ha dichiarando che il dipartimento non ha una responsabilità diretta dei lavoratori, i cui salari sono stabiliti dalla Fair Work Commission.
I residenti della zona metropolitana di Melbourne devono restare a casa e possono uscire solo per acquistare cibo e generi di prima necessità, per lavorare, studiare, fare esercizio oppure prestare o ricevere assistenza. Si consiglia di indossare mascherine in pubblico.
Le persone in Australia devono stare ad almeno 1,5 metri di distanza dagli altri. per verificare i limiti imposti sugli assembramenti.
Se avete sintomi da raffreddore o influenza, richiedete di sottoporvi ad un test chiamando telefonicamente il vostro medico, oppure contattate la hotline nazionale per le informazioni sul Coronavirus al numero 1800 020 080.