Dalla Sicilia a Melbourne il passo non è breve. Eppure è quello che ha fatto Massimo Fiorentino, spinto inizialmente dal desiderio di cambiare aria, di imparare e di lavorare.
L’Australia non era nei suoi piani, almeno non subito. Dopo esperienze in Germania, in Svizzera e a Londra, Massimo era tornato a lavorare in Italia, ma quando un familiare gli ha propose un viaggio in Australia, decise di accettare.
“Avevo capito che [in Italia] non era più il caso, non era più la situazione”, racconta ai microfoni di SBS Italian.
Era il 2013. Massimo arrivò a Melbourne con un visto turistico e nessuna idea concreta sul futuro. “Non avevo assolutamente idea di nulla. 'Sì sì, vieni qua, se ti piace rimani… con molta, diciamo, nonchalance'”, racconta.
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Eppure alcune cose di questa società lo colpirono subito.
“Una cosa che mi ha colpito molto è stata sicuramente la grossa varietà di culture… Poi la facilità con cui approcciarsi anche nel mondo del lavoro. Era tutto molto diverso. E quindi sì, cominciai a pensare di cercare di rimanere”, racconta Massimo.
Massimo passò da un visto turistico a uno per studenti, iniziò un corso di inglese, poi decise di specializzarsi nel suo ambito: la grafica pubblicitaria. Ma il percorso si rivelò più complicato del previsto, soprattutto perché non trovò da subito chi sapesse guidarlo nei meccanismi dell’immigrazione australiana.
“Il problema che ho avuto con questi primi agenti di immigrazione è che mi vendevano le scuole, però non mi guidavano. Non mi dicevano esattamente qual era tutto il percorso [da fare] per provare a ottenere la residenza permanente”, racconta.
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Dopodiché Massimo si innamorò di una studentessa, si sposarono, e tentarono la via dello sponsorship visa. Ma il mestiere della moglie – la parrucchiera – venne improvvisamente rimosso dalla lista delle professioni richieste.
Massimo cercò allora un’alternativa: si iscrisse a un corso nel settore dell"hospitality", un settore che conosceva già. Ma anche lì arrivò la doccia fredda: la scuola fallì e e lui si ritrovò bloccato. Fu in quel momento che il rapporto con la moglie si incrinò e finì.
Lei tornò nel suo Paese. E Massimo pensò di fare la stessa cosa."Mi ero detto: ‘Sai che c'è? Me ne torno in Italia, intanto vado a stare con la famiglia e poi vediamo’”.
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Ma arrivò il Covid. L’Italia era in lockdown, e anche l’Australia. Tornare indietro non era più semplice. Massimo decise allora di provare una strada alternativa: da solo, senza l’aiuto dell’avvocato, presentò domanda per un Temporary Protection Visa, motivando la richiesta con una lunga lista di criticità legate alla pandemia.
Era un azzardo. Ma funzionò: “Sì, l’ho fatto da solo. Me l’hanno accettato subito… Ho scritto: ‘Ragazzi, io sono qua da otto anni, ho studiato, e c’è il Covid, non posso tornare in Italia per questi motivi’. Me l’hanno accettato e mi è durato quasi tre anni”.
Fu una boccata d’ossigeno. Gli permise di fermarsi, di ripensare tutto. Finalmente trovò un avvocato che prese a cuore la sua storia e lo indirizzò verso lo Skill Visa, un percorso complesso ma in linea con la sua esperienza.
Nel frattempo, nella sua vita entrò Mirela. Inizialmente la relazione era incerta, ma col tempo si è rafforzata. Anche l’avvocato lo spronò a prendere una decisione chiara: “Mi prese e mi disse: ‘Allora, quanto è seria la tua relazione con questa persona? Venite qua e ne discutiamo’. Così abbiamo fatto. Siamo andati da lui, abbiamo parlato… e abbiamo iniziato le pratiche”.