La psicologia dei confini chiusi - 1 La "cecità" alle differenze

Man With Protective Suit Controlling Border Traffic,Close Border Crossing Virus Pandemic

Salvo le eccezioni previste dalla legge, arrivare in Australia o partire è vietato dal 20 marzo 2020. Source: Getty Image/ArtistGNDphotography

Con un tasso di vaccinazione tra i più bassi nei Paesi sviluppati, la chiusura dei confini internazionali resta la sola arma che l'Australia ha per proteggersi dalla pandemia. Ma tra le comunità culturalmente e linguisticamente diverse, come quella italoaustraliana, il prolungato isolamento impone un costo anche in termini di salute mentale.


La chiusura dei confini internazionali, annunciata dal primo ministro Scott Morrison il 19 marzo 2020 e in vigore dal giorno successivo, gode di un supporto amplissimo da parte della popolazione australiana.

Secondo l’ultimo sondaggio Australia Talks per ABC il 79 per cento degli australiani è d’accordo con il tenere chiusi i confini internazionali “fino a quando la pandemia sarà sotto controllo a livello globale”.
Esiste però una percentuale significativa di residenti permanenti e cittadini australiani, anche di origine italiana, che sta dimostrando una crescente frustrazione verso il divieto di lasciare il Paese e verso il divieto di ingresso di familiari non cittadini australiani, una frustrazione che può tradursi in un impatto negativo sulla salute mentale.

Vedere il mondo in modo diverso

"Gli italiani hanno una visione del sé che coinvolge strettamente i propri cari", ha detto Stefania Paolini, Professoressa Associata di Psicologia Sociale e Interculturale all’Università di Newcastle ai microfoni di SBS Italian. "Noi individualmente esistiamo in funzione della relazione che abbiamo con la nostra famiglia".
La chiusura dei confini incide più su persone di un background culturale che pone tanta importanza alle relazioni.
Oltre alle differenze culturali, è importante ricordare, per contestualizzare l'enorme supporto alle misure restrittive che il governo australiano ha deciso, che quasi la metà degli australiani non ha un passaporto e che, oltre alla Nuova Zelanda, la meta più popolare per i viaggi all'estero degli australiani è Bali, meta spesso di brevi vacanze a cui può essere relativamente semplice rinunciare.

Ma per molti migranti, recenti o meno, la possibilità di tornare regolarmente nel Paese di origine per mantenere i legami familiari più importanti è una conditio sine qua non della decisione di trasferirsi in Australia.
Stefania Paolini
Un ritratto di Stefania Paolini, Professoressa Associata di Psicologia Sociale e Interculturale all’Università di Newcastle Source: Stefania Paolini
Stefania Paolini sottolinea come nelle fasi di grandi transizione della vita la distanza e la lontananza sono percepite maggiormente: matrimonio, gravidanza, malattia, morte sono passaggi complessi, da non affrontare soli.

Anche le occasioni più felici come lo sposarsi o l'avere un figlio contengono elementi di stress, e "il sostegno delle persone care diventa particolarmente importante per vivere questi momenti come un momento di gioia, la mancanza di questo sostegno sottolinea l'aspetto stressante".
La pandemia aggiunge a questo perché ci ricorda in modo molto palpabile della fragilità della vita.

Se la luna di miele con l'Australia finisce

La "luna di miele" tra i migranti e il Paese ospitante è un fenomeno ben conosciuto nella ricerca psicologica e, anche se non ci fosse una pandemia, sarebbero in molti a sperimentare quella che è definita "la crisi del settimo anno", spesso associata alla vita coniugale, ma che qui descrive il disamoramento di chi sceglie di vivere la propria vita in un Paese diverso da quello natale.

Dopo 5-7 anni c'è spesso una fase di realizzazione in cui "l'immigrato si rende conto di non poter mai raggiungere un'assimilazione completa nella nuova società" e "si sente trattato come diverso, straniero".
Questo fenomeno è condiviso con molte comunità migranti e in molti Paesi, non è quindi specifico della cultura italiana o dell'Australia.

Stefania Paolini aggiunge che "il sentimento di esclusione è esacerbato da eventi che sottolineano delle differenze culturali e di sentimento".
Secondo me la pandemia e la chiusura dei confini esasperano la percezione di differenza tra i diversi gruppi nell'ambiente australiano.
"Il disagio più forte è quando le nostre aspettative sono più forti", riflette Stefania Paolini, sulla base della letteratura psicologica della resilienza ed essere aperti a cambiamenti, ad esempio, sulle possibili date di partenza può ridurre il malessere. Ma, ammette Paolini, "questo è più facile a dirsi che farsi".
Si può vivere meglio se non ci ancoriamo ad una visione del futuro di tipo troppo specifico.
Può aiutare anche rimanere in contatto con persone che la pensano in modo non lontano dal nostro e vivono la pandemia in modo simile, ma allo stesso tempo anche raggiungere la consapevolezza delle differenze culturali che stanno alla base delle convinzioni più distanti.

La petizione più firmata in parlamento: culture collettiviste vs culture individualiste

Il senatore dei Verdi Nick McKim presenterà in parlamento nei prossimi giorni una petizione per permettere ai genitori di ottenere l'esenzione, ovvero il diritto di accesso all'Australia.

Ha fatto molto discutere, sia online che nelle piazze, la decisione del governo australiano di non includere i genitori di figli adulti nella definizione di "immediate family" che definisce chi può avere diritto all'ingresso nel paese.

Stefania Paolini crede che, anche in questo caso, le differenze culturali siano responsabili di questa scelta, che a molti dei migranti che provengono da culture che danno grande importanza alle relazioni appare difficile da accettare.
"Nelle culture anglofone", spiega Paolini, "l'enfasi è posta sul diventare indipendenti, autonomi dagli altri come persone" e queste differenze "hanno un impatto sulla legislazione e sulle strutture sociali".

Questa definizione, riflette poi Stefania Paolini, non ha intenti punitivi ma è "espressione naturale del modo in cui una cultura individualistica vede il sé".

La lente con la quale interpretiamo il mondo agisce in gran parte senza consapevolezza, è "il modo naturale, automatico, inconsapevole" di vedere e di strutturare la società.

Tutti gli australiani sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

Stefania Paolini commenta poi sul rischio che questa "definizione ristretta di famiglia" possa introdurre una forma di discriminazione indiretta, rifacendosi alla definizione della Australian Human Right Commission.

Si parla di discriminazione indiretta quando una regola o una politica irragionevole si applica allo stesso modo per tutti, ma ha effetti diversi su persone che possiedono determinate caratteristiche.

Un concetto applicato principalmente nel diritto del lavoro, la discriminazione indiretta non è illegale se la politica o la regola è ragionevole.
La letteratura psicologica, afferma Stefania Paolini, chiamerebbe la strategia del governo colour blind, una cecità ai colori che è metafora per l'incapacità di riconoscere le differenze culturali.
Quando pensiamo ad una regola applicata in modo uguale per tutti, pensiamo che la regola sia equa. Ci dimentichiamo che la regola non è necessariamente definita in un modo collegiale, da tutti.
"La colour blindness crea danni non necessariamente intenzionali, ma va a svantaggiare gruppi che hanno una visione della realtà diversa" secondo Stefania Paolini.

I gruppi sociali, come gli italiani, che pongono grande enfasi sulle relazioni, potranno essere discriminati da una regola che formalmente è uguale per tutti, ma si basa su una visione del mondo diversa. "Uguale per tutti non vuol dire equità", sostiene Paolini.

Ascolta l'intervista a Stefania Paolini
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La psicologia dei confini chiusi - 1 La "cecità" alle differenze

SBS Italian

09/06/202124:11
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