Paolo Barlera conclude la sua carriera al servizio degli Istituti di Cultura

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Paolo Barlera, direttore uscente dell'Istituto Italiano di Cultura di Sydney, negli studi di SBS.

Dopo tre anni alla guida dell’Istituto Italiano di Cultura di Sydney, Paolo Barlera si prepara a concludere un lungo percorso professionale iniziato quasi per caso.


Dopo tre anni a Sydney, Paolo Barlera lascia la direzione dell’, ultima tappa di un lungo percorso professionale cominciato in modo insolito.

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"Non è stata una decisione presa a tavolino", racconta al microfono di SBS Italian. "Ci sono state diverse circostanze che mi hanno portato a intraprendere questa carriera".

All’inizio pensava che la sua strada fosse un’altra. Dopo la laurea, si era trasferito a New York per un dottorato.

Nonostante il lavoro accademico non si sia concretizzato, è arrivata invece la proposta di entrare all’Istituto di Cultura della città.

"Entrai all’Istituto non conoscendo veramente come funzionava, come era la diplomazia culturale, che allora non si chiamava nemmeno così. Ho iniziato come responsabile della comunicazione e della biblioteca. Poi, come si dice proverbialmente, una ciliegia tira l’altra".
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Da lì in avanti, una serie di passaggi che non seguono un disegno predefinito ma acquistano nel tempo una coerenza propria: San Francisco, di nuovo New York, e infine l’Australia.

Nei vari spostamenti Barlera è stato sempre accompagnato dalla sua famiglia, con i due figli ancora piccoli quando ha partecipato al concorso del Ministero.
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Negli anni la missione degli Istituti è cambiata.

"Quando io sono entrato, nei primi anni 2000, già si pensava che la promozione della cultura italiana dovesse essere non tanto per gli italiani che erano in quel Paese, ma aperta a tutti, e specialmente alle persone che non conoscevano o non conoscevano tanto l’Italia", dice.

La comunità italiana rimane comunque un punto di riferimento costante, in ogni città.

A Sydney e nelle città americane dove ha lavorato le comunità italiane non sono tutte uguali, ma ci sono punti in comune.

"Innanzitutto perché c’è un minimo comune denominatore che è quello della lingua e quello delle convenzioni, dei modi di fare. Ormai, specialmente nelle grandi città americane e australiane, ci sono stili di vita molto simili", osserva.
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Le attività dell’Istituto si rivolgono a un pubblico composito: cittadini australiani, italofoni, studenti, appassionati, professionisti, migranti di prima o seconda generazione.

"La soddisfazione è quella consapevolezza di riuscire a toccare la vita delle persone [...] se io so che sono riuscito, con la mia attività, a dare delle emozioni alle persone, credo che possa essere un buon risultato".

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